Antonia Trevisan è un’artista veneta che vive e lavora fra Vicenza e Venezia, fra i Colli Berici e la Laguna. La mostra fino al 13 ottobre
Il bisogno di dire quello che sento attraverso il “fare”.
La necessità di tirar fuori dal mio essere qualcosa che rappresenti non tanto te ma i tuoi sentimenti.
Creare è per me una necessità vitale, un complesso insieme di cose che mi fa vivere, una smania inestinguibile.
Il bisogno di comunicare, di interpretare è molto personale.
E’ una necessità.
E’ una comunicazione con la vita, un impulso non addomesticabile.
Quando l’opera è finita mi quieto .
Solo allora, ma per poco …
L’opera esce da me e diventa di tutti.
Sono molto legata alle mie opere e mi è difficile lasciarle andare perché al loro interno rivivono particelle della mia esistenza, frammenti della mia vita.
E per farle “partire” devo avere il tempo di maturare il distacco.
Le mie opere sono la connessione fra i miei sentimenti e gli altri.
Sono piene d’amore per le persone, per i luoghi che mi appartengono.
Interpretano quello che vivo.
Vorrei che le mie opere potessero appartenere a tutti quelli che in esse riconoscono le proprie emozioni.
L’opera è uno specchio attraverso cui ci si riconosce.
Tutto il resto è decorazione.
In questa esposizione non si segue un filo logico.
Non c’è un ordine.
L’esposizione è un viaggio all’interno dei significati, della vita e dei momenti in cui l’opera ha preso luce.
I materiali utilizzati sono molto diversi tra loro (vetro, acciaio, carta, tela, plexiglas, policarbonato, alluminio etc.).
Sono stati scelti perché hanno corrispondenza con ciò che ho sentito, che ho voluto dire, che ho toccato, che mi ha stimolato.
I temi di cui mi occupo seguono i miei interessi e talvolta affiorano da una proposta, talaltra sono suggeriti da uno scritto, una poesia, un sorriso, una rivolta.
Tutto questo mi fa muovere… e commuovere.
Mi fa vivere una perenne febbre esistenziale.
L’essere per il fare, come espressione per l’essere.
Dopo gli studi, prima al Liceo Scientifico e poi all’Istituto Tecnico Sperimentale nel quale segue i laboratori di pittura, design per l’arredamento, progettazione e disegno tecnico, Antonia Trevisan si iscrive alla Facoltà di Sociologia di Trento per poi intraprendere la carriera di insegnante nella Scuola Media, dedicandosi soprattutto alla composizione grafica e alla fotografia.
A partire dal 1970 frequenta, presso la bottega di arredamento di Gigi Lanaro a Vicenza, gli appuntamenti serali con architetti come Carlo Scarpa, Arrigo Rudi, Giorgio Bellavitis, Federico Motterle, Umberto Tubini e Domenico Sandri, con il ceramista Pompeo Pianezzola, con lo scultore del vetro Luciano Vistosi e con la tessitrice e designer Renata Bonfanti, che, rifacendosi ai principi teorici di Gropius e del Bauhaus, riconosce valore autonomo all’arte applicata, convinta della necessità di fornire alla società nuovi modelli oggettuali ispirati al massimo della semplicità e funzionalità.
L’arte di Antonia Trevisan
In quegli anni comincia a progettare e a mettere in opera le sue prime vetrate impiegando lastre di vetro soffiato colorato, assemblate con collante trasparente e inserite fra pannelli di vetro antisfondamento. L’artista, a seguito di un tirocinio di circa un anno nella bottega di un vecchio artigiano di Romano D’Ezzelino, Gino Frigo, impara a tagliare autonomamente le lastre e perfeziona la tecnica della sovrapposizione e del fissaggio con collante, alternativa e innovatrice rispetto a quella tradizionale che accostava i vetri tramite commettiture di piombo.
Il maestro, che le ha svelato i segreti dell’arte vetraria, stanco e malato, le dona il suo tagliavetro, in segno di stima e di simbolico “passaggio di testimone” all’allieva.
La mostra
In programma dal 14 al 30 settembre presso lo spazio L’Idea di Amatori in Piazza dei Signori, la mostra di Antonia Trevisan – In Viaggio – ne ripercorrerà le opere in un interessante excursus tra tempi e modalità creative.
Ciò che caratterizza la ricerca di Antonia Trevisan, è la definizione di un proprio personale concetto di spazio, psicologicamente complesso e articolato, fortemente emozionale, costruito su giochi di trasparenze, capace di superare sia il condizionamento della tradizione prospettica, sia le quattro dimensioni suggerite dal Cubismo. Le tangenze con l’astrazione assumono nei decenni ottanta e novanta una connotazione formalista: l’artista privilegia i motivi geometrici, anche se non disdegna la linea curva derivata dall’art nouveau o i cerchi del Cubismo Orfico di Robert Delaunay, da cui derivano la compenetrazione e scomposizione dei piani e la suggestione dei contrasti cromatici simultanei, che, trasferiti sulle lastre di vetro soffiato di colori e spessori diversi, si modificano con l’impercettibile variare della luce.
La realizzazione delle vetrate è preceduta da bozzetti che non si limitano a svolgere la funzione di schizzo progettuale e illustrativo, preliminare alla realizzazione dell’opera: in essi l’immagine viene analizzata ad uno stadio elementare, scomposta ed esaminata nelle primarie strutture grammaticali e sintattiche, costitutive dei processi cognitivi.