Una zona incantevole e affascinante, ricca di storia e tradizioni: è la Marca trevigiana, conosciuta per le bellezze, l’enogastronomia e… i misteri!
Le storie di misteriosa Marca trevigiana sono codici alternativi attraverso i quali scoprire una terra “gioiosa et amorosa” in un affascinante viaggio alla ricerca della storia e del mito, tra realtà e fantasia, con la magia del passato che riemerge nelle feste e nelle rievocazioni.
Ecco alcuni misteri della Marca trevigiana
Susegana – Il Castello di Collalto e la leggenda di Bianca
Risalendo le colline che da Susegana portano a Pieve di Soligo, vi accoglierà, in tutta la sua fierezza, il Castello di Collalto, di cui il tempo e la storia ci hanno restituito solo il gigantesco mastio, tracce di mura, la porta d’accesso al borgo medievale. Ma tutto, nell’immobilità del silenzio, lascia intuire un passato audace e vittorioso: il feudo fu proprietà della famiglia dei Collalto, primi conti di Treviso nel 1300. Se il tempo leviga le pietre e la storia distrugge con le guerre, niente può intaccare la memoria. Più che mai viva è la triste storia di Bianca, bellissima ancella di Chiara da Camino, nobildonna che il conte Tolberto di Collalto prese in sposa per sedare la lotta tra la sua famiglia e quella dei Caminesi di Ceneda. La castellana non eccelleva in bellezza ed era assai gelosa del marito. Bianca era invece dolcissima, incline al sorriso ed ignara del male. Tolberto se ne innamorò perdutamente per i modi gentili e i capelli lunghi del colore del grano. La passione fu travolgente. Ma cancellate quegli sguardi languidi, non vi sto raccontando una storia d’amore a lieto fine! Quella di Bianca, Tolberto e Chiara è la storia di un terribile delitto. Il giorno che Tolberto fu chiamato alla guerra, si recò dalla moglie per congedarsi. Bianca le stava pettinando i capelli. Chiara vide riflesso nello specchio l’incrocio dei loro sguardi, una lacrima di lei scivolare sul volto e il sorriso di lui posarvisi come una carezza, non potendola toccare. Chiara capì e la vendetta fu atroce. Partito Tolberto murò viva la fanciulla in una torre. Bianca morì di stenti, Tolberto non tornò mai più dalle Crociate. Da allora il fantasma di Bianca apparve ai membri della famiglia, velata di bianco per annunciare una buona novella, di contro, nascondeva il volto con un velo nero. Quando vi recherete ai ruderi dell’antico castello, invocate il fantasma di Bianca, senza averne paura, vi apparirà sicuramente vestita di bianco per annunciarvi l’immortalità dell’amore.
San Zenone degli Ezzelini – La leggenda dei crudeli Ezzelini
Tutti i castelli scricchiolano di rumori sinistri, anche quelli che non esistono più, ma che mai scompariranno dalle leggende e dai racconti. Uno di questi è il castello degli Ezzelini, sorto nel territorio di San Zenone, dimora del crudele tiranno Ezzelino III, alla morte del quale fu raso al suolo. La fortezza, agli albori del XIII secolo, poggiava sulla cima di un colle da cui ancora oggi si può godere un panorama meraviglioso sul massiccio del Grappa e sul Montello. Ezzelino si distinse per efferatezza e sete di potere, cosa che gli procurò parecchi nemici, papa compreso, che condusse contro di lui una crociata. Ezzelino aveva un fratello, Alberico, al pari votato alla conquista, e una sorella, Cunizza, anch’essa impegnata in dispute, ma di tipo amoroso: ebbe tre mariti e parecchi amanti. Le leggende legate al castello narrano i delitti del tiranno e il massacro della famiglia di Alberico. Si dice che Ezzelino fece anche murare le porte delle prigioni senza pietà alcuna per uomini, donne e bambini e che a questi ultimi facesse strappare gli occhi. Le loro urla si udivano fino a valle e, dicevano, le loro anime avrebbero gridato in eterno paura e dolore. Fu così che Dante lo sbatté all’inferno, immerso in un fiume di sangue. Morì dissanguato e peccatore, senza pietà neppure per se stesso, rifiutando medicine e sacramenti. Alberico fu trucidato con tutta la famiglia per mano dei nemici. Fu costretto ad assistere alla decapitazione dei sei figli maschi e al rogo della moglie e delle due figlie. Morì attaccato alla coda di un cavallo in corsa. Ciò che restò del suo corpo fu bruciato a Treviso. La sua anima, che non trova pace per non essere riuscita a proteggere i suoi figli, continua a vagare sulla collina in compagnia dello spettro di Ezzelino e di tutte quelle anime straziate. Unica anima bianca è Cunizza: volteggia in una danza perenne tra i pini e i cipressi, fra le braccia del suo amante più caro, Sordello il poeta, che per lei, nelle notti serene, continua a cantare.
Il Montello – Fate, diavoli, draghi e spiriti
Esiste nella Marca un luogo misterioso ed impenetrabile. Per essere visitato, anche viaggiatori esperti come voi avranno bisogno di una guida speciale, di qualcuno che li accompagni e garantisca il loro ritorno a casa. Vi sto parlando di un piccolo monte dal profilo azzurro e ben disegnato. Si distende sulla riva destra del fiume Piave. È il Montello, luogo di memoria e di pace, dove la natura stupisce ad ogni stagione con sfumature ritratte nei secoli da artisti e poeti. Una curiosa guida vi aspetterà ai piedi di una quercia, lungo la dorsale. La notte sarà tra le più buie, di lui e delle cose distinguerete vagamente i contorni. Alla luce della sua piccola lanterna si rivelerà un paesaggio invisibile al sole, fatto di alberi secolari, i cui rami s’intrecciano alle radici sporgenti, ruscelli e sorgenti di acqua incandescente, uccelli parlanti, basilischi dal corpo di serpente, draghi che sputano fuoco e altre creature misteriose, folletti, orchi e satanassi. Grazie alla guida, passeggerete indisturbati nel loro mondo di fiaba, scritto nei secoli dalla fantasia degli umani. Vi porterà alla Grotta del Buoro, dove la ninfa Ciane mesce l’acqua magica, capace di ridare il latte alle puerpere smunte, e poi al Bus de le Fate, abitato da fanciulle dai piedi caprini che si lavano perennemente ad una fonte. Dal Buoro delle Anguane vedrete le ninfe lavandaie uscire e recarsi ai ruscelli per lavare panni macchiati di antichi misfatti commessi dagli uomini. Vicino ad una sorgente, le Fate Bone preparano il miele da offrire alle fanciulle che il Massariol, spirito burlone, fa smarrire nel bosco. Poi il sole tornerà e tutto sarà come quando al Montello si va per una gita di domenica: una collina verdeggiante, coperta da un bosco tranquillo. Nell’accomiatarvi dalla vostra guida non chiedetegli il nome, né di rivelarsi da sotto il cappello che gli copre tutto il volto. Ringraziate soltanto tendendogli la mano e non stupitevi se la sua sarà rossa e rovente come il fuoco dell’inferno.
Monastier di Treviso – L’abbazia dei fantasmi
È cosa risaputa che quanto più antico è un luogo tanto più desta l’attenzione di storici e studiosi; quanto più sperduto si trova nella geografia di un territorio tanto più risveglia la curiosità dei passanti; se poi si tratta dei ruderi di un’abbazia di monaci benedettini del X secolo, questo non può che pungolare la fantasia di quanti amano inventare le vite di chi non ha lasciato traccia. Non trovo presentazione migliore per invitarvi all’abbazia di Santa Maria del Pero di Monastier, uno dei siti più misteriosi della Marca Trevigiana. Fu fondata dall’imperatore tedesco Ottone I al posto di uno scalo fluviale. Immaginate cosa si presentò agli occhi dei monaci: una distesa lacustre e boscosa, che bonificarono in osservanza della regola che affiancava alla preghiera il lavoro. All’interno del chiostro romanico fiorivano le rose e le ortensie, l’erbolarius offriva una varietà di erbe officinali al monaco speziale, la vigna dava frutta e ortaggi per le conserve. Di tutta questa vita, scandita dalla preghiera e da piccoli gesti operosi, non resta che uno scenario semi abbandonato. Le stanze del convento non risuonano più dei canti dei monaci, il campanile svetta muto, orfano di ore. Ma qualcuno, passando di là al crepuscolo, ha ancora l’impressione di udire un fruscio, un bisbigliare liturgico. Un’impressione che si fa man mano reale. Poi campane inesistenti scandiscono ore perdute nel tempo, le finestre del chiostro iniziano a sbattere, dalla porta della chiesa un lume precede una processione di monaci che fa il giro del piazzale, entra in abbazia e sale una scala che non esiste più da molti anni. Poi tutto svanisce come se non fosse mai accaduto, spazzato dal vento, inghiottito dalla notte. È inutile dire che chi mi ha raccontato questa storia, simile a tante altre che nei secoli si sono tramandate, se mai è ritornato all’abbazia di Monastier, lo ha fatto in pieno giorno sotto un sole agostano. E voi, a che ora intendete visitarla?
Vittorio Veneto – La pietra di Santa Augusta
Se volete conoscere la storia leggendaria di Augusta e la pietra miracolosa, dovete raggiungere Vittorio Veneto, luogo che diede i natali alla Santa nel II secolo d.C., quando ancora al posto dell’attuale cittadina esistevano due nuclei urbani di antica memoria: Serravalle e Ceneda. La fusione dei due centri, avvenuta più di un secolo fa con l’Unità d’Italia, non ne ha confuso i tratti originali. Appena dietro il duomo di Serravalle s’inerpica una scalinata che porta al punto più alto della città: il Santuario di Sant’Augusta. Si offrirà ai vostri occhi un belvedere vasto e profondo, di monti, laghi e valli, intuendo più ad oriente il luccichio del mare. Una volta arrivati, sedete sotto il portico e ricordate la storia che vi sto per raccontare. Augusta era figlia di Matrucco, re visigoto, che costruì sul monte Marcantone, presso l’attuale Serravalle, la sua fortezza. Avido di potere, conquistò il Friuli e perseguitò con ferocia i cristiani. Si narra che un eremita battezzò in segreto la piccola Augusta, segnando il suo destino. La fanciulla crebbe nella fede cristiana, proteggendo i perseguitati dalla crudeltà del padre. Matrucco scoprì la sua devozione per quell’unico Dio morto in croce e cercò invano di persuaderla, imprigionandola e sottoponendola a brutali torture: la ruota dentata che si ruppe, il rogo che si spense, lo strappo dei denti ed, infine, la decapitazione. Il corpo fu ritrovato diversi anni dopo, sepolto in cima alla collina che ancora porta il suo nome, deposto con cura nel punto più alto, più vicino alle stelle e al suo Dio, forse per mano della stessa pietà cristiana che lei difese per sé e per il mondo intero fino alla morte. Chi tra di voi, arrivato fin qui dopo la lunga salita accuserà un forte dolore al capo, vada dietro l’altare dove riposano le spoglie di Augusta, lì troverà una pietra forata di origini antichissime. Se vi infilerete la testa, pregando la Santa, ogni male passerà come se non vi avesse mai tormentati.
Se volete scoprire di più della misteriosa Marca Trevigiana, ecco qualche curiosità interessante!
Fonte: Marcadoc